Io sono erica e questa è chissenefrega, la newsletter di spunti settimanali di cui potrebbe potenzialmente non fregarti niente.
La Serra di Christina Kubisch per Silenzi d’Alberi curata da Sonia Belfiore e Lucia Longhi. Foto di Silvia Longhi.
Tutto è suono e tutto parte dal suono
È ovunque tranne che nel vuoto spaziale. Tant’è che pare che il silenzio non esista — il suono è tutto ciò che ci circonda. La vibrazione di un corpo, l’aria che la propaga e il cervello, a cui viene emesso il segnale elettrico dal timpano: gli elementi dell’equazione sono molto semplici, la differenza la fa quello che dal suono percepiamo e non solo quello che ascoltiamo.
E infatti, il potenziale del suono inteso sia come voce che come musica è considerato in molti rituali — nelle cerimonie sciamaniche dell'ayahuasca o nelle tecniche di psicoterapia esperienziale come la Respirazione Olotropica — un mezzo con cui entrare ancora più in profondità nell'accesso all'esperienza. Il potere curativo del suono è anche alla base del Sound Bath, un’esperienza in cui, spesso sdraiati al suolo in maniera rilassata, si ascoltano i suoni prodotti da vari strumenti musicali. Tra gli effetti e i benefici si può includere l’espansione della mente. Questo spiega in parte anche il fenomeno dell’ARSM su YouTube: la ripetizione di suoni calmanti che, in maniera analoga ai bagni di suono, ha l’obiettivo di eliminare stress e ansia. Personalmente, ho fatto alcune esperienze che mi hanno aperto ai benefici della sound therapy. In una di queste occasioni ho dormito tutta la notte con i suoi dei gong suonati live in sottofondo — 34, per la precisione — mentre a Buenos Aires ho scoperto cosa fosse il il sonido sanador grazie a Milu, un’insegnante che combina diverse tecniche sonore per creare una fase di rilassamento molto intensa. Consiglio di ascoltare anche questa sua traccia che mi aiuta molto a concentrarmi, anche se live è molto più potente.
Il suono è anche un elemento al centro delle esplorazioni del mondo dell’arte, più o meno recenti. I primi approcci sono sono nati nel 1913 quando i Futuristi, e in particolare Luigi Russolo, iniziarono ad indagare la realtà sonora: fu la prima volta che si parlò di rumori e non di musica. Si passò a sperimentazioni più concrete negli anni Cinquanta quando John Cage crea 4’33’’ — che si legge proprio 4 minuti e 33 secondi — con l’idea di comporre un pezzo di silenzio ininterrotto. L'obiettivo dell'opera, divisa in tre atti scanditi dall’apertura e dalla chiusura della tastiera del pianoforte, era quello di dare importanza ai rumori della sala, creando una composizione musicale che seguisse i principi del caso. Il silenzio era considerato com cosa viva: un'idea geniale per i tempi.
Nonostante negli ultimi anni si sia potuta approfondire la ricerca grazie ad un naturale sviluppo tecnologico, c'è ancora un notevole dibattito al riguardo di queste sperimentazioni della sound art contemporanea che «si colloca in una società dell’immagine sempre più bulimica» mi spiega l'art curator Sonia Belfiore «l'ascolto è spesso subordinato alla visione perché diamo priorità a ciò che è visivo piuttosto che auditivo». Si parla davvero di Sound Art «quando il suono porta senso all’opera e quando si rivolgere attenzione all'ascolto come esperienza partecipata che invita all'ascolto attivo» continua Sonia.
Sempre più artisti hanno rilanciato la ricerca per conoscere la realtà e i paesaggi attraverso il suono. Come Christina Kubisch — già conosciuta per le sue Electrical Walks, con cui ha creato delle visite guidate in diverse città rendendo udibili le frequenze di spot elettromagnetici nascosti — e che ha partecipato alla mostra Silenzi d'Alberi del 2017 curata da Sonia Belfiore alla Villa Brandolini di Treviso. La tematica della mostra era il rapporto dell'essere umano con la natura con un invito ad avvicinarsi al paesaggio attraverso l'esperienza auditiva. Christina ha realizzato un'opera site specific negli spazi della serra della villa del Settecento, in cui il visitatore ha potuto vivere un'esperienza unica: ogni cavo e circuito che pendeva dal soffitto dell'installazione produceva un'atmosfera sonora specifica. In ogni circuito c'era un suono differente, registrato con la tecnica del field recording e che veniva alternato a suoni modificati elettronicamente. La riflessione si può riassumere con le stesse parole della curatrice: «l'opera racconta la presunzione dell'uomo di poter ricreare la natura nelle serre, un tentativo artificioso di racchiudere un paesaggio esotico su cui è stato posto l'accento attraverso il fatto che i suoi non fossero antichi e incontaminati».
Anche i Beatles praticavano Bhakti Yoga
Erano gli anni di Woodstock – il periodo di grande ricerca spirituale – quando John, Paul, George e Ringo partirono per l’India per meditare insieme al Guru Maharishi Mahesh Yogi. L’esperienza di cambiò totalmente e chi ne rimase più influenzato fu George Harrison, che nel 1970 iniziò la sua carriera di solista con My Sweet Love.
Cosa c’entra il Bhakti con il suono e, soprattutto, i Beatles? La pratica prevede l’uso della voce attraverso il canto dei mantra. Mantra: man-mente; tra – strumento. E’ un termine sanscrito e significa: strumento per dominare la mente, appunto. Questo perché la ripetizione dei mantra ci porta a pulire la mente da ogni pensiero riportandoci nel presente: qui e ora. I testi sono nella maggior parte dei casi in sanscrito (o in gurmukhi nel caso del Kundalini Yoga) e per noi occidentali il non saperne esattamente il significato, ne aumenta l’efficacia: ci affidiamo a questi suoni mettendo in stand-by la nostra parte razionale, consentendoci così di entrare in un profondo stato di meditazione. Come ogni altra forma di yoga, anche il Bhakti conduce all’autorealizzazione, risveglia la nostra presenza acuta, ci aiuta a vivere con pienezza nel presente e a connetterci con la parte più profonda e vera di noi.
La parola Bhakti deriva da Bhaj che significa: “essere in adorazione, essere connessi al divino”. I mantra sono dedicati a diverse divinità induiste anche se, in realtà, la loro ripetizione riafferma la nostra essenza divina. E questo è il vero punto saliente. Secondo la Trimurti indiana infatti, in ogni cosa - compresi noi stessi - esiste un principio creativo (rappresentato dal Dio Brhama, il Creatore), un principio conservativo (rappresentato dal Dio Vishnu, colui che protegge la vita) e un principio distruttivo (rappresentato da Shiva, il materializzatore e il trasformatore, colui che distrugge per lasciar spazio al nuovo). Quando riconosciamo l’essenza divina che è in noi, allora sentiamo un sentimento di amore incondizionato verso di noi e verso tutto ciò che ci circonda. Percepiamo un profondo senso di connessione e consapevolezza dell’energia creativa e di essere parte di uno stesso tutto.
Tutto queste informazioni potrebbero un po’ stordire, quindi per approfondire in maniera più semplice ho chiesto a Elena Rizzo, insegnante di Bhakti e Harmonium – oltre che di Kundalini, Vinyasa e Hatha Yoga – di raccontarmi quali sono i benefici generali di questa pratica.
Quali sono gli effetti del Bhakti su mente e corpo?
“Da un punto di vista olistico, la prima e più immediata conseguenza è una sensazione di benessere e di apertura del petto. Quando cantiamo i mantra andiamo a lavorare soprattutto sul 3°, sul 4° e sul 5° chakra. Grazie a una pratica costante, ci riscopriamo sempre più aperti alla vita, più curiosi, gioiosi, comprensivi, coraggiosi e capaci di esprimere le nostre idee e i nostri sentimenti. Da un punto di vista fisico, questa pratica aiuta: l'apparato digerente, l'apparato respiratorio, il sistema endocrino e nervoso, il sistema immunitario. Quando cantiamo infatti lavoriamo molto con la pancia e con l'ombelico, andando a massaggiare gli organi interni e questo aiuta la digestione; regola la nostra respirazione; stimola la produzione degli ormoni che influiscono positivamente sul sistema endocrino, come ossitocina e serotonina, che aiutano a combattere stati depressivi, di ansia e di stress e questo dà grande beneficio al nostro sistema nervoso. Tutto questo porta a uno stato di salute migliore che rafforza il sistema immunitario.”
Nel Kirtan, vengono usati degli strumenti specifici?
“Lo strumento più importante è senza dubbio la voce. Noi siamo vibrazione, la nostra voce è la parte più intima di noi e rappresenta la nostra essenza, la nostra anima. Quando cantiamo la nostra voce si libera e vibra con le voci di chi canta con noi e ci fa sentire parte del Tutto, ci sentiamo connessi ed infiniti. Oltre alla voce si possono usare degli strumenti musicali. Qualunque strumento può essere adatto, io personalmente preferisco l'Harmonium, un piccolo organo che emette delle vibrazioni fortissime che lavorano sul nostro e che aiuta ad entrare in un profondo stato di meditazione e a lasciare andare ogni pensiero o dispiacere.”
Chi sono gli esponenti di spicco contemporanei da ascoltare?
“Per i mantra in sanscrito legati alla tradizione del Bhakti Yoga, direi sicuramente George Harrison e poi Krishna Das, Deva Premal, Jai Uttal, Edo & Jo, Swami Vishwananda. Per i mantra del Kundalini Yoga invece consiglierei: Snatam Kaur, Jai Jagdeesh e Bachan Kaur.”
Elena insegna Bhakti al centro RamaYoga di Milano, tutte le domeniche alle ore 18 — per ora su Zoom con lezioni a donazione libera — e offre lezioni private di Harmonium. Se questo articolo ti ha incuriosito, puoi contattarla per ulteriori info sulle classi via email.
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