Io sono erica e questa è chissenefrega, la newsletter di spunti settimanali di cui potrebbe potenzialmente non fregarti niente.
artwork di @lucavegetti
Come prima, più di prima. Anche no
Disclaimer: questa non è una lettera d’amore a Milano. O almeno, non del tutto.
Quello tra me e la mia città è un rapporto controverso perché - come anche il completamento automatico di Google può confermare - viverci non è sempre facile.
Negli ultimi anni ho avuto la percezione che qualcuno stesse schiacciando un acceleratore immaginario che facesse andare vita privata e lavorativa a ritmi futuristici. Zang, frrrrr, taratatatatata, pic-pac-pum-tumb! Di corsa, da un lato all’altro della città, ad aperitivi, eventi, saloni e appuntamenti come se la fretta fosse l’unica unità di misura del tempo, anche di quello libero. Per non parlare del costo della vita. Vedere alla voce affitto e altre disgrazie, come i 25 euro pizza-cola-dolce, i monolocali con soppalco in condivisione e i nuovi quartieri cool che puzzano già di bluff immobiliare.
Milano era diventata presuntuosa, ma quello che era normale non lo sarà più. Spero.
Prepariamo le biciclette per la fase 2. La città ha una strategia Greta Thumberg approved che riassegnerà circa 35 km di spazio stradale ai ciclisti e ai pedoni, per affrontare la crisi del corona virus alla riapertura.
Quello della ripianificazione urbana è solo uno dei nuovi scenari che possiamo permetterci di immaginare per quando ritorneremo, ed è soprattutto da un punto di vista di sostenibilità umana che c’è ancora tanto da fare. Ma il new normal è ancora da progettare. Qualche idea?
La Milano che manca
Milano può raccontarla solo chi vive i suoi ritmi, le sue vie e le sue abitudini, le stesse che vorremmo tornare a fare una volta liberi. Ma cos’è che della città stiamo sentendo davvero la mancanza e cosa, invece, non ci manca affatto? L’ho chiesto ad alcuni amici che mi hanno raccontato il loro punto di vista.
“Quello che mi manca più di Milano è uscire di casa e incrociare il corniciaio e il ciabattino che lavorano sotto casa e mi chiamano "Signorina!", salutare i vecchietti e i vagabondi al bar in viale Monza proprio lì accanto. Mi mancano le cose più semplici come andare a bere il cappuccino da HUG, la mia seconda casa a NoLo. Ciò che non mi manca per niente è il ritmo frenetico, il loop in cui ero entrata, la giostra che correva velocissima dalla quale io non riuscivo più a scendere.”
- Camilla Romagnoli / @cami_romagnolimakeup
“Partirei dicendo quello che non mi manca affatto: la mano incollata al clacson di certi individui. Qualunque cosa succeda nel dubbio, loro suonano. Ma cosa ti clacsoni?! Bestia!
Mi manca girovagare per Milano. Bermi un caffè in santa pace il sabato pomeriggio in Wagner oppure andare a cena nel mio ristorante cinese preferito. Mi manca molto anche poter scattare delle foto in giro per Milano, quella credo sia una mancanza incolmabile.
Non vedo l'ora di poter riprendere a farlo.”
- Matteo Galvanone / @matteogalvanone
“Di Milano mi mancano le colazioni del sabato mattina da Fiuri, in Isola, dove ormai ci si sentiva un po’ a casa e, a furia d’andare sempre lì, i proprietari ti portavano “il solito”. Mi manca esorcizzare una giornata di merda andando a prendere l’aperitivo da Eppol e aspettare la mia amica, perennemente in ritardo! Mi manca passeggiare con in mano il mio gelato gelato preferito, preso da Artico. Mi manca andare a tastare il nuovo locale aperto da poco! Mi manca poter andare a piedi dal kebabbaro perché quella sera zero sbatti di cucinare. Persino quello che di Milano non mi manca, ovvero la domenica in Duomo stipata di gente, ora mi manca...”
- Charlottte Sweet-Escott / @hey_charlotte__
“La premessa è che penso che questa sia l’occasione perché tutto NON torni come prima e di cercare di lasciare in quel NON tutte le cose che non ci piacevano, spingendo nel “come prima” quelle che invece ci mancano. Quello che mi piacerebbe tornasse come prima è sicuramente andare da Luca e Andrea, sui Navigli, sedermi a bere una birra, anche da solo, e ritrovarmi poi a chiacchierare con persone che non avevo previsto di vedere quella sera. Ecco, quello che mi manca davvero in questo momento in cui si tende alla monotonia è questo: l’imprevisto, le serate che nascono per caso e finiscono come devono finire. Tra discorsi più o meno seri, ristate e “ci sentiamo domani allora eh”. ”
- Luca Della Dora / @luca2d
“Il venerdì sera alle ore 00.15 esco di casa (dopo un pisolino) per andare a fare la cosa che più mi fa sentire il mio immaginario in contatto con le persone, cioè le video proiezioni. Mi sveglio con un primo gin tonic alla mezza e dall’una inizia il viaggio. Per 4 ore posso creare i miei mondi, in un’armonia in continua evoluzione con la musica e - mentre tutto questo si muove - la gente può immergersi nella mia creatività. Questo è ciò che mi manca. Quello che non mi manca assolutamente è il puntare la sveglia tutte gli altri giorni della settimana. Per me, Milano vuol dire lavorare full time, essere sempre a ritmi alti e non deludere mai.”
- Andrea Colacicco / @blackelephant_ac
Focus on MILANOBANDIERE
con Daniele Desperati
MILANOBANDIERE, foto della mostra presso Assab One a Milano
Milano - dal 1999 - è divisa in 9 zone che vengono indicate con una numerazione che va dal numero 1 al 9, ma se andassimo a cercare su Wikipedia scopriremmo che le pagine contenute dalla categoria “Quartieri di Milano”, sono ben 83. Qualche tempo fa era stata persino approvata una prima proposta per cambiare i nomi dei quartieri perché quelli usati dal comune per identificare le zone della città, non coincidono necessariamente con quelli usati dai cittadini. Come il termine NoLo, ovvero North of Loreto, che è stato coniato solo negli ultimi anni e che per il Comune ancora non esiste. Ma al di là dei nomi ufficiali o ufficiosi, ogni quartiere possiede una propria identità locale e, da poco più di un anno, anche la propria bandiera.
Ci ha pensato l’art director e designer Daniele Desperati grazie a MILANOBANDIERE, un progetto di territorial branding non ufficiale nato nel 2018, che raccoglie una serie di flag-design dedicate alle varie zone di Milano, con un focus speciale sulle periferie e aree multiculturali.
Partito come pura sperimentazione grafica, il progetto si è concretizzato in un naturale, ma non scontato, passaggio dal digitale al reale. Con il tempo, infatti, le bandiere sono state realizzate (create e cucite a mano in sartoria da Maria Magni), sventolate e condivise nei luoghi al quale si sono ispirate.
Ad oggi, sono quattordici i quartieri che fanno parte del progetto ma Daniele ha già qualche idea per la fase 2 di MILANOBANDIERE e della città.
Qual è stata l'ispirazione base del progetto?
“Non ti nascondo che questo progetto è nato un po’ per caso. Stavo lavorando a una ricerca per un cliente e mi sono imbattuto in un vecchio archivio dove c’erano anche molte vecchie bandiere. Così ho iniziato a studiarle, mischiarle, tagliuzzarle (digitalmente) e un po’ per gioco ho creato la bandiera di NOLO. Quando l’ho postata è piaciuta e ho proseguito con le altre. Poi un giorno un mio amico regista mi scrive e dice che vuole la bandiera di Via Padova da piazzare in un videoclip, fino a quel momento le bandiere erano state soltanto digitali. Allora ho trovato una sarta ed eccoci qui.”
Ogni bandiera ha un significato che ne rispecchia il quartiere. Ce ne racconti alcune?
“I riferimenti diretti ai quartieri sono a volte più espliciti, altre volte meno, altre volte quasi non esistono. Quando cammini in un quartiere assimili una serie di elementi senza accorgertene: gli spazi, i colori delle facciate, i volti di chi ci abita, le tag sui muri, quale metro o linea di bus ci arriva. Tutto questo ha influenzato molto l’identità grafica di ogni singola bandiera. Per esempio: l’insegna di una carrozzeria è molto diversa da quella di un panettiere e se in quartiere c’è una predominanza di un’attività sull’altra questo dà un’identità tipografica a quel quartiere. Altri elementi invece non si possono rappresentare direttamente - il mix di etnie, i profumi, i rumori, quanto cielo si vede tra i palazzi. La bandiera di via Padova ad esempio cerca di restituirci quel brulicare di lingue, sapori e tradizioni differenti. Navigli si ispira a un romanzo “Pirati dei navigli” di Marco Philopat. Bovisa ci racconta le sue radici di quartiere operaio. E così via.”
Che ne sarà di MILANOBANDIERE, una volta esauriti i quartieri da raccontare?
“La prima parte del progetto ha preso in analisi quattordici quartieri. Oltre alle bandiere, alla mostra ad Assab One, e all’azione in Ventura è stata edita da Press Press una pubblicazione in cui quattordici tra autori, artisti, musicisti e professionisti hanno raccontato il proprio quartiere. La seconda parte la vorrei lanciare nel 2020, e prevederebbe altre quattordici bandiere, un’altra mostra, un’altra pubblicazione. Quando avremo raccontato tutta la città sarebbe bello portare queste bandiere nei quartieri. Farle vivere. Pandemie permettendo.”
Come ti immagini Milano dopo la quarantena?
“Bella domanda. C’è tanta incertezza. Una cosa però è abbastanza certa - Milano si è fermata e si è scoperta vulnerabile. Questa città, che ha saputo trasformare in oro colato tutto ciò che per sua definizione è effimero - ora che l’effimero si è dimostrato tale - dovrà sapersi re-inventare. Ammettiamolo, ci eravamo un po’ seduti sul trono della #bellaMilano e del primato nazionale senza avversari. Addirittura sono arrivati gli inverni tiepidi. Si stava perdendo il contatto con la realtà - La famosa bolla. Spero che questa sia l’occasione per guardarci intorno e studiare un “Modello Milano” magari un po’ meno modello ma un po’ più umano. Quando ci sarà di nuovo un tempo per stare insieme vorrei che ripensassimo anche quello: se una balera, una libreria, una trattoria dove puoi mangiare con dieci euro, o un bar dove scambiare due chiacchiere sono viste come rare oasi di autenticità allora qualcosa non sta funzionando. Amo questa città, non vivrei altrove. Ma a guardarsi indietro era come se Milano fosse “fatta” di MD. Ci sveglieremo con un hangover davvero pesante. Ma sapremo riprenderci.”
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