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art via @adamjk
Productivity Dysmorphia
È un classico: all’inizio di ogni anno ci prefissiamo degli obiettivi importanti, spesso con l’impressione di non aver concluso il ciclo di quelli dell’anno precedente. Questa sensazione ha un nome, è la productivity dysmorphia: l’incapacità di riconoscere il nostro successo perché ci sembra di non fare mai abbastanza.
Ne ha scritto la giornalista Anna Codrea Rado su Refinery29, descrivendo la sua esperienza lavorativa: «quando scrivo tutto ciò che ho fatto dall'inizio della pandemia - lanciato e pubblicato un libro, lanciato un premio per i media, ospitato due podcast - mi sento sopraffatto. L'unica cosa più opprimente è che mi sento come se non avessi fatto nulla.»
La productivity dysmorphia è un bias cognitivo che si colloca all'intersezione tra burn out, sindrome dell'impostore e ansia. È l'alter ego dell'ambizione: la ricerca della produttività ci spinge a fare di più, privandoci della capacità di assaporare qualsiasi successo che potremmo incontrare lungo la strada.
La società della stanchezza
Questa sensazione di inadeguatezza è molto più condivisa di quanto si creda, ed è una questione di metriche e misurabilità: continuare a paragonarci a quello che vediamo sui social sarà sempre un fallimento. Anche i Tlon hanno scritto un post al riguardo:
“Nella società della performance tutti si guardano intorno e pensano: «Guarda quante cose fanno gli altri e quanto poco faccio io. Quanto loro sono attivi, belli e vivi, rispetto a me che sono passivo, brutto e morto dentro».
In realtà, la sensazione di non fare e non essere mai abbastanza è molto più condivisa di quanto si creda: anche i tuoi amici, le persone che idealizzi, persino chi vedi come competitor vive esattamente la stessa situazione, e così si finisce col correre tutti come pazzi verso il nulla per paura di essere dimenticati, esclusi, messi da parte.”
Mentre nell’esperienza offline incontriamo gli Altri - e l’esperienza è trasformante, alter-ante - sui social, l’estinzione dei confini tra il sé e l’Altro significa che non può mai capitare qualcosa di nuovo. Ci si affoga nel sé. Viene ampliato quel senso di senso di competitività verso chiunque, che costringe a sentirsi in colpa quando ci si vuole fermare. E per poter funzionare meglio, ci ottimizziamo attività dopo attività.1
Extreme Moderation
Qualche anno fa Avivah Wittenberg-Cox aveva proposto il concetto di extreme moderation in questo articolo pubblicato sull’Harvard Business Review.
“Il workaholism è un distintivo d'onore e l'estremismo sta diventando la norma non solo nella nostra vita professionale ma sempre di più anche nella nostra vita personale. I genitori estremi investono eccessivamente nella crescita di bambini competitivi. Le persone si dedicano allo sport per trovare un equilibrio nella propria vita e si lasciano coinvolgere dal diventare triatleti. E se invece abbracciassimo l'estrema moderazione, l'estremo equilibrio? E se invece di dare il 110% a tutto, dessimo solo l'80%?”
Un esercizio
Non sono un’amante delle liste, né i recap strappalacrime di fine anno, ma in questo caso potrebbe essere un esercizio utile per combattere la sindrome del “non ho fatto abbastanza”, focalizzandoci su quello che abbiamo fatto, piuttosto che su quello che non abbiamo fatto. — quasi come se fosse un flusso di coscienza.
[Mi sono trasferita da Milano al mare, ho collaborato a progetti di cui vado fiera (tra cui, questa campagna per Uber), ho letto 11 libri, ho ripreso il mio percorso yogico dopo un lungo periodo di pausa e ho seguito un teacher training per insegnanti (grazie alla family di Akhanda Yoga e Kutir di Bologna), sto imparando a giocare a tennis, a sciare e a surfare (questa vale anche se è ancora molto in progress), ho compiuto trent’anni.]
What’s next
Mi piacerebbe iniziare questo anno con il progetto di scambio libri, dato che la scorsa edizione mi ha reso troppo felice.
La dinamica è semplice: ti invio un libro, mi invii un libro. Non importa che sia un libro usato o nuovo, ma che sia una lettura valida. L’unico requisito è essere iscritti a questa newsletter. Se ti va di partecipare, scrivimi una email e ti invierò tutte le indicazioni.
Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Edizioni Nottetempo